L’enterocolite necrotizzante è caratterizzata da una lesione della superficie interna dell’intestino. Questo disturbo si osserva più spesso nei neonati prematuri e/o gravemente malati.
L’addome può essere gonfio, le feci possono presentare tracce di sangue e il neonato può rigurgitare un liquido giallo-verdastro o color ruggine, oltre ad apparire molto sofferente e letargico.
La diagnosi viene confermata dall’esame radiografico addominale.
Il trattamento comprende digiuno, inserimento di un sondino di aspirazione nello stomaco per rimuoverne il contenuto e alleviare la pressione, e somministrazione di antibiotici per via endovenosa.
Nei casi gravi è necessario un trattamento chirurgico per rimuovere l’intestino danneggiato.
Il 70-80% circa dei neonati colpiti da questo disturbo sopravvive.
Oltre il 90% dei casi di enterocolite necrotizzante si osserva in neonati pretermine (prematuri). L’enterocolite necrotizzante può verificarsi in gruppi di casi o come focolaio in un’unità di terapia intensiva neonatale (UTIN). Talvolta tali focolai possono essere collegati a batteri specifici (come E. Coli), ma spesso la causa è sconosciuta.
La causa dell’enterocolite necrotizzante non è del tutto chiara, ma è in parte correlata all’immaturità dell’intestino unita a bassi livelli di ossigeno nel sangue e/o a una riduzione dell’apporto di sangue all’intestino. Il ridotto flusso ematico all’intestino in un neonato prematuro malato può determinare lesioni alla superficie interna dell’intestino. La lesione consente ai batteri normalmente presenti nell’intestino di invadere la parete intestinale danneggiata e di entrare quindi nel torrente ematico del neonato, causando infezione (sepsi) e talvolta morte. Se la lesione progredisce attraverso l’intero spessore della parete intestinale, lacerandola (perforazione), lo sversamento del contenuto intestinale nella cavità addominale può causare infiammazione e successivamente infezione dell’addome e della relativa mucosa (peritonite).
Fattori di rischio per l’enterocolite necrotizzante
Oltre alla prematurità, altri fattori di rischio sono
Rottura prolungata delle membrane prima del travaglio (rottura delle acque più di 12 ore prima dell’inizio del travaglio): la perdita di liquido amniotico può portare a un’infezione del feto.
Perturbazione dei batteri che vivono nell’apparato digerente: il trattamento con antibiotici o farmaci antiacidi può favorire la proliferazione di batteri potenzialmente nocivi che possono penetrare nell’intestino.
Asfissia perinatale: questa complicanza provoca una diminuzione dell’apporto ematico ai tessuti o una minore ossigenazione del sangue del neonato prima, durante o subito dopo il parto.
Cardiopatia presente alla nascita (cardiopatia congenita): i difetti cardiaci congeniti possono influenzare il modo in cui il sangue scorre o i livelli di ossigeno nel sangue.
Anemia (basso numero di globuli rossi): in caso di anemia, può essere difficile per il sangue del neonato trasportare una quantità di ossigeno adeguata.
Exsanguinotrasfusione: durante questa procedura il sangue del neonato viene rimosso e sostituito, il che può avere effetti sul flusso di sangue verso gli organi.
Alimentazione con latte artificiale: il latte materno contiene sostanze che aiutano a proteggere le pareti dell’apparato digerente, assenti nel latte artificiale.
Sintomi dell’enterocolite necrotizzante
I neonati con enterocolite necrotizzante possono sviluppare gonfiore dell’addome e possono avere difficoltà ad alimentarsi. Possono vomitare liquido sanguinolento o con striature verdi o gialle e possono presentare sangue nelle feci.
Questi neonati appaiono molto sofferenti, letargici, freddi e presentano ripetute pause del respiro (apnea).
Il restringimento dell’intestino (stenosi intestinale) è la complicanza a lungo termine più comune dell’enterocolite necrotizzante.
Diagnosi dell’enterocolite necrotizzante
Radiografie dell’addome
Ecografia
Esami del sangue
La diagnosi di enterocolite necrotizzante viene confermata da radiografie addominali che mostrano la presenza di gas nella parete intestinale (chiamata pneumatosi intestinale) o di aria libera (aria fuori dal tratto gastrointestinale) nella cavità addominale in caso di perforazione della parete intestinale. I medici possono procedere anche a un’ecografia dell’addome per esaminare lo spessore della parete intestinale, la pneumatosi intestinale e il flusso del sangue.
Vengono prelevati campioni di sangue per ricercare batteri e altre anomalie (per esempio un’alta conta leucocitaria).
Talvolta, viene rilevato sangue nelle feci.
Trattamento dell’enterocolite necrotizzante
Interruzione dell’allattamento
Alimentazione, liquidi e antibiotici somministrati per via endovenosa
Talvolta intervento chirurgico
I neonati con enterocolite necrotizzante rimangono in ospedale e vengono trattati in un’unità di terapia intensiva neonatale (UTIN).
Nei neonati con enterocolite necrotizzante l’allattamento viene interrotto immediatamente. Si introduce nello stomaco un tubo di aspirazione per rimuoverne il contenuto, in tal modo si riduce la pressione e si previene il vomito. Alimenti e liquidi vengono somministrati per via endovenosa per mantenere l’idratazione e la nutrizione e favorire la guarigione dell’intestino. In caso di infezione si somministrano antibiotici.
Il 75% circa dei neonati affetti da enterocolite necrotizzante non necessita di trattamento chirurgico, che tuttavia diventa necessario in caso di perforazione intestinale o grave compromissione di parte dell’intestino. L’intervento consiste nell’asportazione della parte di intestino non irrorata sufficientemente. Le estremità dell’intestino sano vengono portate in superficie, creando un’apertura temporanea attraverso la cute per l’escrezione delle feci (stomia). Successivamente, quando il bambino è guarito, le estremità dell’intestino vengono ricollegate e reinserite nella cavità addominale.
Nei neonati estremamente piccoli (peso inferiore a 600 grammi) o gravemente malati che potrebbero non sopravvivere in caso di trattamento chirurgico più esteso, i medici intervengono inserendo drenaggi peritoneali nella cavità addominale. I drenaggi addominali consentono di espellere dall’organismo il materiale infetto presente nell’addome e di alleviare i sintomi. La procedura contribuisce a stabilizzare i neonati in modo da consentire l’intervento chirurgico in un secondo momento, quando le loro condizioni saranno meno critiche. In alcuni casi il neonato recupera senza bisogno di alcun ulteriore intervento chirurgico.
Prognosi dell’enterocolite necrotizzante
Gli attuali trattamenti medici e chirurgici hanno migliorato la prognosi dei neonati affetti da enterocolite necrotizzante. Il 70-80% circa dei neonati colpiti sopravvive.
Si osservano stenosi nel 10-36% dei neonati che sopravvivono all’episodio iniziale di enterocolite necrotizzante; solitamente causano sintomi 2-3 mesi dopo l’episodio. Talvolta le stenosi devono essere corrette chirurgicamente.
La sindrome dell’intestino corto (un disturbo che causa diarrea e scarso assorbimento dei nutrienti [malassorbimento]) si sviluppa in circa il 10% dei neonati che hanno avuto l’enterocolite necrotizzante.
Prevenzione dell’enterocolite necrotizzante
L’alimentazione dei neonati prematuri con latte materno piuttosto che con latte artificiale sembra conferire una certa protezione contro l’enterocolite necrotizzante. Inoltre, è importante che il personale ospedaliero eviti di somministrare al neonato latte artificiale molto concentrato e adotti misure per prevenire bassi livelli di ossigeno nel circolo ematico del bambino. Al bambino non devono essere somministrati neanche antibiotici e antiacidi, se possibile.
Esistono evidenze che i probiotici (batteri buoni) possono contribuire a prevenire il problema, ma si tratta di una terapia ancora sperimentale.
Le donne in gravidanza a rischio di parto pretermine possono ricevere corticosteroidi per prevenire l’enterocolite necrotizzante.