Sindromi coronariche acute (attacco cardiaco; infarto miocardico; angina instabile)

DiRanya N. Sweis, MD, MS, Northwestern University Feinberg School of Medicine;
Arif Jivan, MD, PhD, Northwestern University Feinberg School of Medicine
Revisionato/Rivisto feb 2024
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I fatti in Breve

Le sindromi coronariche acute originano da un’improvvisa ostruzione di un’arteria coronaria. A seconda della sede e della sua entità, questa ostruzione provoca un’angina instabile o un attacco cardiaco (infarto miocardico). Un attacco cardiaco è la morte del tessuto cardiaco a causa del mancato apporto di sangue.

  • I soggetti colpiti da una sindrome coronarica acuta generalmente lamentano pressione o dolore toracico, respiro affannoso e/o affaticamento.

  • In caso di sospetta sindrome coronarica acuta, il paziente deve chiamare il pronto soccorso e assumere una compressa di aspirina.

  • Per stabilire se si tratti o meno di sindrome coronarica acuta, i medici sottopongono il paziente a elettrocardiogramma e rilevano i livelli delle sostanze nel sangue.

  • Il trattamento varia in base al tipo di sindrome ma, generalmente, comprende tentativi di aumentare il flusso sanguigno nelle aree affette del cuore.

(Vedere anche Panoramica sulla coronaropatia)

Negli Stati Uniti, ogni anno si verificano circa 1 milione di attacchi cardiaci o morti cardiache improvvise. Le sindromi coronariche acute, inoltre, causano quasi 400.000 decessi all’anno.

Cause della sindrome coronarica acuta

Il muscolo cardiaco necessita di un costante apporto di sangue ricco di ossigeno. A garantire questa necessaria quota ematica sono le arterie coronarie, che si ramificano dall’aorta alla sua uscita dal cuore. Di solito, la sindrome coronarica acuta compare quando l’ostruzione di una coronaria riduce drasticamente o interrompe l’apporto di sangue a un’area del muscolo cardiaco (miocardio). La riduzione dell’afflusso di sangue a qualsiasi tessuto viene detta ischemia. Se l’apporto di sangue è molto ridotto o interrotto per più di qualche minuto, il tessuto cardiaco muore. L’attacco cardiaco, detto anche infarto miocardico (IM), è la morte del tessuto cardiaco a causa di ischemia.

Un coagulo di sangue è la causa più comune di ostruzione di un’arteria coronaria (vedere anche Panoramica delle coronaropatie). Solitamente, l’arteria è già parzialmente stenotica per l’accumulo di colesterolo e altri materiali lipidici sulla parete arteriosa (ateroma). L’ateroma può rompersi o lacerarsi, rilasciando sostanze che rendono le piastrine più collose e favorendo la formazione di coaguli. In circa due terzi della popolazione, il coagulo di sangue si scioglie spontaneamente, in genere nell’arco di 24 ore. Tuttavia, entro questo lasso di tempo, in genere il cuore subisce un certo grado di lesione.

Raramente l’attacco cardiaco si verifica in seguito alla formazione di un coagulo all’interno del cuore, che si frammenta, diffondendosi a distanza, fino a localizzarsi in una coronaria. Un’altra causa poco frequente è lo spasmo coronarico che arresta il flusso sanguigno. Gli spasmi possono originare dall’azione di sostanze stupefacenti come la cocaina. Talvolta la causa è sconosciuta.

Classificazione

I medici classificano le sindromi coronariche acute in base a

  • Presenza di sostanze nel sangue (marcatori cardiaci) rilasciate dal cuore danneggiato

  • Sintomi

  • Risultati dell’elettrocardiogramma (ECG)

La classificazione è importante perché ogni sindrome coronarica acuta deve essere trattata con agenti specifici. Esistono l’angina instabile e due tipi di attacco cardiaco.

  • L’angina instabile è una variazione del profilo sintomatologico associato ai sintomi di angina (fastidio toracico), compreso un prolungamento o un aggravamento dell’angina e nuova insorgenza di sintomi anginosi gravi. I soggetti che presentano angina instabile non mostrano segni di attacco cardiaco all’ECG o a seguito degli esami del sangue.

  • L’IM senza sopraslivellamento del tratto ST è un attacco cardiaco identificabile mediante delle analisi del sangue che, tuttavia, non produce le tipiche alterazioni elettrocardiografiche (sopraslivellamento del tratto ST).

  • L’IM con sopraslivellamento del tratto ST è un attacco cardiaco diagnosticabile mediante delle analisi del sangue e che produce anche delle tipiche alterazioni elettrocardiografiche (sopraslivellamento del tratto ST).

Sapevate che...

  • Circa un terzo delle persone che hanno avuto un attacco cardiaco non manifesta dolore al petto.

Sintomi della sindrome coronarica acuta

I sintomi delle sindromi coronariche acute sono simili e, generalmente, è impossibile distinguerle sulla sola base clinica.

I sintomi dell’angina instabile sono gli stessi dell’angina pectoris, e, più precisamente, pressione intermittente o dolore sottosternale (sotto lo sterno). Il paziente spesso interpreta la sensazione come un fastidio o pesantezza anziché dolore. Il fastidio può anche manifestarsi a livello delle spalle, sulla faccia interna delle braccia, lungo la schiena e a livello di gola, mandibola o denti. Tuttavia, in pazienti affetti da angina instabile, il profilo cambia, laddove si manifestano episodi più frequenti o più gravi di angina oppure episodi a riposo o dopo il minimo sforzo fisico. Circa 2 soggetti con un attacco cardiaco su 3 presentano angina instabile, respiro affannoso o affaticamento qualche giorno o settimana prima dell’evento. Tale cambiamento delle caratteristiche del dolore toracico può culminare in attacco cardiaco.

Di solito, i sintomi più evidenti di un attacco cardiaco sono il dolore in sede medio-toracica con possibile irradiazione al dorso, alla mandibola o al braccio sinistro. Meno di frequente, il dolore si irradia al braccio destro. Il dolore può essere localizzato in una o più di queste sedi, senza interessare necessariamente il torace. Il dolore di un attacco cardiaco è simile a quello anginoso, ma di solito è più intenso, dura più a lungo e non è alleviato dal riposo o dalla nitroglicerina. Sono più rari i casi in cui viene percepito a livello addominale, dove può essere scambiato per una cattiva digestione, soprattutto perché l’eruttazione può dare sollievo parziale o temporaneo. Per ragioni sconosciute, le donne presentano spesso sintomi diversi, descritti talvolta come dolore toracico atipico, che è meno probabile vengano diagnosticati come un problema cardiaco.

Circa un terzo delle persone che hanno avuto un attacco cardiaco non manifesta dolore al petto. Si tratta con maggiore probabilità di donne, soggetti non caucasici, di età superiore a 75 anni, affetti da insufficienza cardiaca o diabete oppure di soggetti con pregresso ictus.

Altri sintomi comprendono: sensazione di svenimento o effettivo svenimento, sudorazione profusa e improvvisa, nausea, respiro affannoso e sensazione di oppressione cardiaca (palpitazioni).

In corso di attacco cardiaco, il paziente può diventare irrequieto, sudato e ansioso, con sensazione di pericolo di vita imminente. Labbra, mani o piedi possono assumere un colore bluastro o grigiastro.

Gli anziani potrebbero presentare sintomi insoliti. In molti casi, il sintomo dominante è il respiro affannoso. I sintomi possono somigliare a quelli di un disturbo gastrico o di un ictus. Gli anziani possono diventare disorientati. Tuttavia, circa due terzi degli anziani lamentano dolore toracico come i pazienti più giovani. I soggetti in età avanzata, soprattutto le donne, spesso lasciano trascorrere più tempo rispetto ai pazienti più giovani prima di ammettere di stare male o di consultare un medico.

Nonostante tutti i possibili sintomi, circa 1 soggetto con un attacco cardiaco su 5 presenta solo sintomi lievi oppure è del tutto asintomatico. Tale attacco cardiaco silente viene diagnosticato solo quando viene eseguito un controllo elettrocardiografico (ECG) in un momento successivo.

Nelle prime ore di un attacco cardiaco, è possibile auscultare con lo stetoscopio soffi e altri rumori cardiaci anomali.

Complicanze

I soggetti che hanno angina instabile o un attacco cardiaco potrebbero anche lamentare complicanze a lungo termine. Le complicanze dipendono dall’entità del danno subito dal muscolo cardiaco, una conseguenza diretta del punto in cui l’arteria coronaria era ostruita e della durata dell’ostruzione stessa. Se l’ostruzione interessa un’area estesa del muscolo cardiaco, il cuore non riesce a pompare in modo efficace e può subire un ingrossamento, con possibile conseguente insufficienza cardiaca. Se l’ostruzione interrompe il flusso sanguigno al sistema elettrico del cuore, il ritmo cardiaco può subire ripercussioni, con possibile conseguente aritmia e morte improvvisa (arresto cardiaco).

Diagnosi della sindrome coronarica acuta

  • Sintomi

  • Elettrocardiogramma (ECG)

  • Esami del sangue

Se un uomo di età superiore ai 30 anni o una donna di età superiore ai 40 anni lamenta dolore toracico, i medici in genere valutano la possibilità che si tratti di una sindrome coronarica acuta. Un dolore simile può tuttavia essere causato da molte altre malattie, come polmonite, presenza di un coagulo di sangue in un polmone (embolia polmonare), pericardite, frattura costale, spasmo esofageo, indigestione o dolorabilità della muscolatura toracica a seguito di un trauma o di uno sforzo.

L’ECG, nonché alcuni esami del sangue, possono di solito confermare la diagnosi nell’arco di qualche ora.

Elettrocardiogramma

L’ECG è l’esame diagnostico iniziale più importante in caso di sospetta sindrome coronarica acuta. Fornisce una rappresentazione grafica della corrente elettrica che produce ogni battito cardiaco. In molti casi, rileva immediatamente un attacco cardiaco. Le alterazioni rilevate con l’ECG sono utili nel determinare il tipo di trattamento necessario. Le anomalie nell’ECG aiutano inoltre a mostrare se e in che punto il muscolo cardiaco è stato danneggiato. Se un soggetto ha avuto precedenti problemi cardiaci in grado di alterare l’ECG, il danno in atto può essere più difficile da diagnosticare. Tali soggetti devono sempre portare con sé una copia di un ECG, in modo che in presenza di sintomi di sindrome coronarica acuta sia possibile confrontare l’ECG precedente con quello attuale. Se un certo numero di ECG registrati nell’arco di diverse ore risultano nella norma, i medici scartano la possibilità di attacco cardiaco.

Biomarcatori cardiaci

Anche la misurazione dei livelli di determinate sostanze (chiamate biomarcatori cardiaci) nel sangue aiuta la formulazione della diagnosi delle sindromi coronariche. Si tratta di sostanze normalmente presenti nel muscolo cardiaco, ma rilasciate nel sangue solo in caso di lesione o morte del muscolo cardiaco. Le sostanze misurate più comunemente sono un tipo di proteine del muscolo cardiaco chiamate troponina I e troponina T e un enzima conosciuto come CK-MB (creatinina chinasi, subunità banda miocardio). I loro livelli nel sangue aumentano nelle 6 ore successive a un attacco cardiaco e rimangono tali per alcuni giorni. Il controllo dei livelli dei marker cardiaci viene solitamente effettuato durante il ricovero in ospedale e a intervalli di 6-12 ore nelle 24 ore successive.

Esame di laboratorio

Altri esami

Se i controlli effettuati mediante ECG e marker sierici non forniscono informazioni sufficienti, si può ricorrere all’ecocardiogramma o alla scintigrafia. L’ecocardiogramma può rilevare la riduzione della motilità di parte della parete del ventricolo sinistro (la camera cardiaca che pompa il sangue a tutto il corpo). Tale riscontro suggerisce talvolta un danno causato da un attacco cardiaco.

Durante o subito dopo il ricovero, possono essere eseguiti altri accertamenti. Questi servono a stabilire se il paziente necessiti di ulteriore trattamento o abbia probabilità di sviluppare ulteriori disturbi cardiaci. Per esempio, si può far indossare al paziente un monitor Holter, che registra l’attività elettrica del cuore per 24 ore o più a lungo. Questo esame permette ai medici di stabilire la presenza di anomalie del ritmo cardiaco (aritmie) o episodi asintomatici di inadeguato apporto di sangue (ischemia silente). Un test da sforzo (elettrocardiogramma condotto sotto sforzo fisico) prima o subito dopo la dimissione può aiutare a determinare lo stato di benessere del soggetto successivamente all’attacco cardiaco e l’eventuale persistenza di ischemia. Se tali esami documentano la presenza di aritmie o ischemia, può essere raccomandata una terapia farmacologica. Se l’ischemia persiste, il medico può consigliare una coronarografia per valutare la praticabilità di un intervento coronarico percutaneo o di un innesto di bypass aorto-coronarico per ripristinare la perfusione cardiaca.

Trattamento della sindrome coronarica acuta

  • Farmaci

  • Riapertura o bypass delle arterie ostruite

  • Cambiamenti dello stile di vita

Le sindromi coronariche acute sono condizioni che richiedono un trattamento di urgenza. Metà delle morti da infarto cardiaco si verifica durante le prime 3-4 ore dalla comparsa di sintomi. La tempestività del trattamento condiziona positivamente la possibilità di sopravvivenza. Chiunque sviluppi sintomi riconducibili a una sindrome coronarica acuta deve essere valutato tempestivamente da un medico. Il trasporto immediato in ambulanza, con l’assistenza di personale specializzato, presso un pronto soccorso ospedaliero, può salvare la vita del soggetto. Ogni tentativo di contattare il medico di famiglia, i parenti, gli amici o i vicini rappresenta una perdita di tempo rischiosa.

Sapevate che...

  • In una persona con sintomi che possono indicare un attacco cardiaco il trasporto immediato al pronto soccorso in ambulanza, con l’assistenza di personale specializzato, può salvare la vita del soggetto. Ogni tentativo di contattare il medico di famiglia, i parenti, gli amici o i vicini rappresenta una perdita di tempo rischiosa.

I soggetti con sospetto attacco cardiaco vengono di norma ricoverati in strutture ospedaliere munite di unità di terapia intensiva cardiologica. Il ritmo cardiaco, la pressione arteriosa e la quantità di ossigeno nel sangue vengono monitorati con accuratezza, in modo da poter valutare il danno cardiaco. Gli infermieri di queste unità vengono appositamente addestrati per assistere soggetti affetti da cardiopatie e trattare urgenze cardiologiche.

Spesso si pratica ossigenoterapia per via nasale o tramite maschera facciale. La somministrazione di una maggiore quantità di ossigeno al cuore può aiutare a ridurre al minimo il danno al tessuto cardiaco.

In assenza di complicanze nei primissimi giorni, la maggior parte dei soggetti può tranquillamente essere dimessa dall’ospedale dopo pochi giorni. In caso di complicanze, come lo sviluppo di aritmie o se il cuore non riesce più a pompare in modo adeguato (insufficienza cardiaca), il paziente può rimanere ricoverato più a lungo.

Trattamento farmacologico

Il fattore più importante nel trattamento precoce di un attacco cardiaco è di recarsi quanto prima in ospedale in modo che i medici possano tentare di ripristinare il flusso ematico nell’arteria colpita. In caso di sospetto attacco cardiaco, il paziente deve assumere una compressa di aspirina subito dopo aver chiamato l’ambulanza. Se l’aspirina non viene assunta a casa o somministrata dal personale di primo soccorso, viene somministrata immediatamente non appena giunti in ospedale. Tale terapia aumenta le possibilità di sopravvivenza riducendo le dimensioni del trombo coronarico (eventualmente presente). I soggetti allergici all’aspirina possono assumere clopidogrel, ticlopidina o ticagrelor come alternativa. In alcuni casi si opta per un trattamento combinato con aspirina e clopidogrel, ticlopidina o ticagrelor.

Vengono somministrati farmaci per prevenire la formazione di coaguli di sangue, per ridurre l’ansia e per ridurre le dimensioni cardiache. Potrebbe essere necessario assumere questi farmaci per un certo periodo dopo il recupero da un attacco cardiaco. I farmaci servono a ridurre il carico di lavoro del cuore durante e dopo un attacco cardiaco.

Poiché una riduzione del carico di lavoro cardiaco contribuisce anche a contenere il danno tissutale, in genere, si somministra anche un beta-bloccante per rallentare la frequenza cardiaca. Il rallentamento della frequenza consente di alleggerire il carico cardiaco e riduce l’area di tessuto leso.

La maggior parte dei pazienti viene trattata anche con un farmaco anticoagulante, come l’eparina, per cercare di prevenire la formazione di ulteriori coaguli di sangue.

Alla maggior parte dei soggetti viene somministrata la nitroglicerina, che allevia il dolore riducendo il carico di lavoro cardiaco e dilatando le arterie. Di solito, all’inizio, i nitroderivati vengono somministrati per via sublinguale e, successivamente, per via endovenosa. Occasionalmente, se la nitroglicerina non può essere usata o non è efficace, il medico somministra morfina per ridurre il fastidio e l’ansia.

Gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) possono ridurre la dilatazione cardiaca e aumentare le possibilità di sopravvivenza in molti soggetti. Pertanto, tali farmaci vengono di solito somministrati nei giorni immediatamente successivi all’attacco cardiaco e sono prescritti indefinitamente.

Le statine sono utilizzate da lungo tempo per la prevenzione delle coronaropatie, ma di recente è emerso che questa categoria di farmaci produce anche un beneficio a breve termine nei soggetti affetti da una sindrome coronarica acuta. La somministrazione di una statina è limitata ai pazienti che non ne assumano già un altro tipo.

Ulteriori informazioni sui farmaci utilizzati per trattare l’attacco cardiaco sono disponibili nella tabella Farmaci utilizzati per il trattamento delle coronaropatie.

Sblocco delle arterie

La decisione relativa ai tempi e alla modalità di sblocco di un’arteria coronaria ostruita dipende dal tipo di sindrome coronarica acuta e dalla tempestività del ricovero in ospedale. Esistono vari modi per riaprire le arterie coronarie ostruite:

Nei soggetti affetti da IM con sopraslivellamento del tratto ST, l’immediata apertura dell’arteria coronaria ostruita salva tessuto cardiaco e migliora la sopravvivenza. I medici tentano di sbloccare l’arteria entro 90 minuti dall’arrivo del paziente in ospedale. Poiché prima l’arteria viene sbloccata, migliore è l’esito, il tipo di intervento non è verosimilmente importante quanto la tempestività.

Se eseguiti entro 90 minuti dall’arrivo del paziente in ospedale, gli interventi cardiaci percutanei (ICP), come l’angioplastica e l’impianto di stent, sembrano essere le opzioni migliori per aprire le arterie ostruite durante un IM con sopraslivellamento del tratto ST.

I farmaci per dissolvere i coaguli (detti anche trombolitici o fibrinolitici, vedere la tabella Farmaci utilizzati per il trattamento delle coronaropatie) vengono somministrati in vena (per via endovenosa) per aprire le arterie se non è possibile eseguire un intervento di ICP entro il tempo utile di 90 minuti. I trombolitici includono streptochinasi, tenecteplasi (TNK-tPA), alteplasi e reteplasi. Anche se l’ideale è somministrarli immediatamente, questi farmaci si dimostrano efficaci anche se vengono somministrati entro 3 ore e possono essere, in certa misura, utili fino a 12 ore dall’arrivo del paziente in ospedale. In alcune zone i farmaci trombolitici vengono somministrati prima dell’arrivo in ospedale da personale paramedico qualificato. La maggioranza dei pazienti trattati con un farmaco trombolitico deve comunque essere sottoposta a ICP prima di essere dimessa dall’ospedale.

Dato che i farmaci trombolitici possono provocare emorragie, di solito non vengono somministrati in presenza di emorragie del tubo digerente, grave ipertensione arteriosa, ictus recente o se i soggetti sono stati sottoposti a intervento chirurgico nel mese precedente l’attacco cardiaco.

I soggetti affetti da IM senza sopraslivellamento del tratto ST o angina instabile in genere non ottengono benefici da un ICP immediato o dalla somministrazione di farmaci trombolitici. Tuttavia, i medici eseguono l’ICP entro il primo o il secondo giorno di ricovero. In caso di aggravamento dei sintomi o sviluppo di certe complicanze, l’intervento può essere eseguito prima.

In alcuni soggetti, in corso di sindrome coronarica acuta si opta per l’innesto di bypass di arteria coronaria (CABG) anziché per l’ICP o la somministrazione di un farmaco trombolitico. Per esempio, il CABG può essere usato nei soggetti che non possono essere trattati con un farmaco trombolitico (per esempio, perché affetti da un disturbo emorragico o perché hanno subito un ictus o un importante intervento chirurgico di recente). Il CABG può inoltre essere indicato in pazienti che non possono sottoporsi a ICP a causa della gravità della coronaropatia (per esempio, per la presenza di numerose aree di ostruzione o scarsa funzionalità cardiaca, specialmente nei diabetici).

Misure generali

Il fumo è un importante fattore di rischio di coronaropatia, pertanto i fumatori sono incoraggiati a smettere di fumare.

Per prevenire la stitichezza possono essere utilizzati emollienti fecali e lassativi blandi, per evitare al paziente di affaticarsi. Se il soggetto non è in grado di urinare o il personale ha bisogno di controllare la quantità precisa di urina (diuresi esatta), si posiziona un catetere vescicale.

In caso di forte ansia o tensione (che può stressare il cuore), si può prescrivere un ansiolitico leggero (per esempio una benzodiazepina come il lorazepam). Per trattare una depressione di lieve entità e il rifiuto della malattia, fattori frequenti dopo una sindrome coronarica acuta, i pazienti sono invitati a dare sfogo alle loro emozioni con medici, infermieri e assistenti sociali, nonché con familiari e amici. In alcuni casi, è necessario intervenire con la prescrizione di un antidepressivo.

Dimissioni

Dopo circa 1-3 giorni di ricovero, i soggetti reduci da attacco cardiaco privo di complicanze e con ICP riuscito vengono generalmente dimessi. In altri casi, può essere necessaria una degenza più lunga.

Di norma vengono prescritti la nitroglicerina, l’aspirina e a volte il clopidogrel, un beta-bloccante, un inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) e un farmaco ipolipemizzante (nella maggior parte dei casi una statina).

Riabilitazione

La riabilitazione cardiaca, parte importante del processo di guarigione, inizia in ospedale. Un allettamento superiore a 2-3 giorni provoca l’inabilità fisica, accompagnata, talvolta, da una sensazione di depressione e di disperazione. Salvo complicanze, i soggetti colpiti da attacco cardiaco sono di solito in grado di passare alla posizione seduta, di eseguire esercizi passivi, di usare una sedia igienica e di leggere fin dal primo giorno. Al secondo o terzo giorno, i soggetti vengono invitati a recarsi al bagno con le proprie gambe e a svolgere attività non impegnative, aumentando ogni giorno il numero di attività. Se tutto va bene, in genere i pazienti fanno ritorno alle proprie normali attività entro 6 settimane. La partecipazione a un regolare programma di attività fisica, in linea con l’età e la funzionalità cardiaca del paziente, reca beneficio.

Prognosi delle sindromi coronariche acute

Molti soggetti con angina instabile subiscono un attacco cardiaco entro circa 3 mesi.

Il periodo di tempo più pericoloso per un soggetto in cui è in corso un attacco cardiaco sono le prime ore, in particolare quelle che precedono l’arrivo in ospedale. Pertanto, se si sospetta un attacco cardiaco, è fondamentale rivolgersi immediatamente a un medico. La maggior parte dei soggetti che sopravvive per un periodo di pochi giorni dopo un attacco cardiaco può avere un recupero completo, ma circa il 10% di essi muore entro un anno. La maggior parte dei decessi si verifica nei primi 3 o 4 mesi, in genere nei soggetti che continuano ad avere angina, turbe del ritmo cardiaco di origine ventricolare (aritmie ventricolari) o insufficienza cardiaca. La prognosi peggiora in caso di dilatazione cardiaca dopo un attacco cardiaco.

Gli anziani presentano una maggiore probabilità di decesso o di sviluppare complicanze, come l’insufficienza cardiaca. Anche le donne e i soggetti con diabete, ipertensione o in sovrappeso hanno maggiori probabilità di avere una prognosi peggiore.

Sapevate che...

  • Metà delle morti da infarto cardiaco si verifica durante le prime 3-4 ore dalla comparsa di sintomi.

Prevenzione della sindrome coronarica acuta

Dopo un attacco cardiaco, i medici raccomandano di assumere ogni giorno una compressa di aspirinetta, metà di una compressa di aspirina per adulti o un’intera compressa di aspirina per adulti. Dato che l’aspirina evita che le piastrine formino coaguli, riduce il rischio di decesso e di un secondo attacco cardiaco del 15-30%. I soggetti allergici all’aspirina possono assumere clopidogrel come alternativa. L’aspirina non è generalmente raccomandata per la prevenzione della sindrome coronarica acuta nei soggetti che non hanno già avuto un attacco cardiaco.

Di solito i medici prescrivono anche un beta-bloccante (come il metoprololo) a chi ha avuto un attacco cardiaco, perché questi farmaci riducono il rischio di decesso di circa il 25%. I beta-bloccanti sono tanto più efficaci quanto più grave è l’attacco cardiaco. Tuttavia, alcuni soggetti non tollerano gli effetti collaterali (come sibili respiratori, stanchezza, disfunzione erettile e freddo alle estremità) e non tutti ottengono benefici.

L’assunzione di farmaci ipolipemizzanti riduce il rischio di decesso dopo un attacco cardiaco.

Spesso, dopo un attacco cardiaco vengono prescritti inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE) come captopril, enalapril, perindopril, trandolapril, lisinopril e ramipril. Aiutano a prevenire il decesso e lo sviluppo di insufficienza cardiaca, soprattutto nei soggetti affetti da infarto cardiaco massivo o che sviluppano insufficienza cardiaca.

Inoltre, è necessario che il paziente cambi il proprio stile di vita, segua una dieta ipocalorica e aumenti l’attività fisica. Eventuale ipertensione arteriosa o diabete devono essere tenuti sotto controllo. I soggetti che fumano devono smettere.